Una nuova ricerca del Pew Research Center suggerisce che i media hanno ancora peso molto forse, per lo meno nella condivisione di notizie riguardanti l’immigrazione. In tema di immigrazione, le tradizionali fonti di informazioni sembrano quindi al momento vincere sulle fonti alternative, almeno in Twitter.
“Il 2017 si è chiuso registrando il numero più basso di migranti giunti via mare sulle coste dei Paesi del Mediterraneo da quando ha avuto inizio nel 2014 il massiccio flusso di ingressi verso l’Europa. Sono stati complessivamente poco più di 171mila, meno della metà di quanti sbarcarono nel 2016, e ben lontani dall’oltre un milione di migranti giunti in Europa via mare nel 2015. L’Italia nel 2017 è tornata ad essere il principale paese di approdo nel Mediterraneo: i quasi 120mila migranti sbarcati hanno costituito il 70% di tutti gli arrivi via mare in Europa.
Il 2015 fu l’anno della Grecia, che raccolse l’84% degli arrivi (857mila, siriani, afghani e iracheni principalmente), mentre nel 2016 dopo l’accordo con la Turchia gli sbarchi sulle isole greche subirono un significativo ridimensionamento: Italia e Grecia accolsero rispettivamente 181mila (50%) e 174mila (48%) migranti. Nel 2017 il paese del Mediterraneo che ha visto aumentare in modo rilevante gli arrivi è stato la Spagna: nel 2016 rappresentò il 2,3% per numero di arrivi mentre nell’anno appena concluso ha visto approdare sulle proprie coste più di 21mila migranti, con un aumento del 160% rispetto al 2016. Gli incrementi sono iniziati soprattutto nei mesi estivi, quando al contrario si è registrato il drastico rallentamento degli arrivi in Italia dovuti in particolare agli accordi con la Libia. Nel nostro paese gli sbarchi sono calati di un terzo rispetto all’anno precedente”.
In occasione della “Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018”, Chiara Giaccardi, Professore Ordinario della Facoltà di Lettere dell’Università Cattolica e membro del team di ricerca, ha riflettuto sulle parole di Papa Francesco, sui quattro verbi usati.
L’articolo, pubblicato sull’Avvenire, è disponibile al seguente link
Segnaliamo questo articolo di Sune Qvotrup Jensen, sociologo danese, sul tema delle rappresentazioni dell'”altro”. L’articolo è scaricabile al seguente link.
Othering, identity formation and agency
“The article examines the potentials of the concept of othering to describe identity formation among ethnic minorities. First, it outlines the history of the concept, its contemporary use, as well as some criticisms. Then it is argued that young ethnic minority men in Denmark are subject to intersectional othering, which contains elements of exoticist fascination of the other. On the basis of ethnographic material, it is analysed how young marginalized ethnic minority men react to othering. Two types of reactions are illustrated: 1) capitalization on being positioned as the other, and 2) refusing to occupy the position of the other by disidentification and claims to normality. Finally, it is argued that the concept of othering is well suited for understanding the power structures as well as the historic symbolic meanings conditioning such identity formation, but problematic in terms of agency”.
RENA, Make a Cube³ and Politecnico di Milano (POLI.design) are delighted to invite you to the Policy Forum “Promoting the Economic Integration of Migrants” as part of the SAME project supported by J.P. Morgan.
During the event, the research on policies and practices supporting the social and economic inclusion of migrants in different European Countries will be presented and conclusions will be discussed with experts, researchers and policymakers; a specific focus will be put on the Italian context.
AGENDA
2.15 | Welcome
Antonio Aloisi, RENA
Stefania Signorelli, J.P.Morgan
Simona Colucci, RENA
2.20 | City of Milan: the challenges of integration
Pierfrancesco Majorino, Deputy Mayor for social policies, health and right – Municipality of Milan
2.30 | SAME Project, an introduction to the project
Il 9 gennaio si è svolto in Università Cattolica un seminario interno di aggiornamento del progetto, con la partecipazione dei ricercatori partecipanti alla ricerca. L’incontro è stato introdotto da un intervento del coordinatore Ruggero Eugeni che ha esposto il quadro della ricerca. Successivamente è intervenuto il Prof. Gian Carlo Blangiardo – Università Milano Bicocca – ISMU che ha presentato una ricerca ISMU sulla presenza degli stranieri in Italia e sulle dinamiche, prospettive, opportunità e problematiche.
Il workshop è stata l’occasione per presentare e discutere i progetti dei gruppi operanti nella ricerca, in particolare sono intervenuti:
Fausto Colombo ha presentato il progetto del gruppo “Scenari”
Matteo Tarantino ha presentato il progetto del gruppo “Policies”, con interventi di Marina Villa e Barbara Scifo.
Laura Peja, Alice Cati, Anna Sfardini, Martina Guerinoni hanno presentato il progetto del gruppo “Iniziative e pratiche” con il Progetto Osservatorio
Chiara Giaccardi e Carla Lunghi hanno presentato il progetto del subtopic “Le pratiche materiali e il food”
Serena Fossati ha presentato il progetto del subtopic sull’uso dei social media tra i cittadini cinesi
Cecilia de Carli ha presentato il progetto del subtopic “Le pratiche artistiche e fotografiche”
Paola Pontani ha presentato il progetto del subtopic “Le pratiche linguistiche ed editoriali”
Nel pomeriggio l’incontro è proseguito con la riunione del tavolo di lavoro della ricerca con ISMU.
Nelle prossime settimane verranno pubblicati gli atti del workshop.
“Le dinamiche del fenomeno migratorio in Italia e in Europa stanno subendo nuove trasformazioni. In questo Ventitreesimo Rapporto Fondazione ISMU stima che la popolazione straniera in Italia abbia raggiunto, al 1° gennaio 2017, 5 milioni e 958mila unità di presenze e analizza i nuovi scenari migratori che vanno confi gurandosi nel nostro Paese e nel resto d’Europa. Il volume infatti mette in evidenza come ancora una volta, nel 2017, l’emergenza sbarchi abbia costituito uno dei temi più rilevanti nell’agenda politica e nel dibattito pubblico in Italia”.
Sul sito di ISMU è possibile scaricare interventi, slide e riferimenti al report.
Qui è possibile scaricare l’Executive summary del report del working group di esperti in dialogo interculturale degli stati membri europei
“In the context of the migratory and refugee crisis, explore the ways culture and the arts can help to bring individuals and peoples together, increase their participation in cultural and societal life as well as to promote intercultural dialogue and cultural diversity. Links will be established with other EU-level integration networks and databases. Experts will take stock of the policies and existing good practices on intercultural dialogue with a special focus on the integration of migrants and refugees in societies through the arts and culture”.
di Chiara Giaccardi, Università Cattolica del Sacro Cuore
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Il testo riprende un intervento svolto nell’ambito di un incontro pubblico all’Auditorium del Consiglio della Regione Lombardia, via Fabio Filzi 29 a Milano, presso Mercoledì 9 febbraio 2017. Titolo dell’incontro: “Oltre il multiculturalismo, ma verso dove? Da sterili confronti ideologici a buone pratiche comunicative. Se l’Inghilterra ha fallito, che cosa può fare l’Italia?”
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Un problema malposto
Gli psicologi insegnano che per affrontare un problema che pare insolubile occorre prima modificare la definizione della situazione: ci sono definizioni, infatti, che per il modo in cui sono formulate ostacolano o limitano fortemente la soluzione dei problemi. La strategia è quindi quella del “reframing”: reincorniciare la realtà, per vederla sotto una nuova luce e uscire dall’impasse, immaginando nuove soluzioni.
E il linguaggio, come sanno i linguisti e gli antropologi, non è un insieme di etichette che appiccichiamo su realtà già esistenti, ma è uno strumento per “tagliare a fette” la realtà e un laboratorio di metafore più o meno generative che possono allargare o restringere la nostra visuale. O, a volte, renderci ciechi.
Quello del multiculturalismo è un problema che cade esattamente in questo impasse.
Il termine è infelice. Ricorda una molteplicità giustapposta, senza legami. A me fa venire in mente le case in multiproprietà: basta lasciare pulito, non fare danni, rispettare i tempi e chi altro abita lo stesso spazio non ci interessa: nessun rapporto, nessuna curiosità, basta non darsi fastidio (nel qual caso si è subito pronti ala lamentela).
Anche le metafore utilizzate per rendere visivamente più comprensibile questo concetto non funzionano: quella del mosaico, per esempio. Il “mosaico delle culture” dovrebbe suggerire un’idea di armonia, data dalla giustapposizione di tante tessere, di tanti colori e materiali, ciascuna col suo perimetro, la sua forma, i suoi confini netti. Ma, primo, le culture non hanno confini netti, dato che sono ibride per definizione e, gli antropologi lo sanno, sopravvivono solo se sanno incorporare il nuovo, il diverso, rigenerandosi di conseguenza; e, secondo, la pluralità giustapposta non produce armonia, casomai conflitto.
Chi è l’artista-artefice del mosaico interculturale? Non è chiaro, e infatti il disegno non c’è.
Multiculturalismo, infine, è un termine ambiguo: oscilla infatti tra un’accezione descrittiva (viviamo in un mondo multiculturale; ma allora è preferibile “multietnico”) e una prescrittiva (il “modello multiculturale”, che sta mostrando tutte le sue debolezze).
Il multiculturalismo non può essere un modello, perché non propone una soluzione adeguata alle sfide di un presente complesso: il massimo che riesce a esprimere è quello di una tolleranza riduttiva, (oggi si dice “tolleranza passiva”) una “indifferenza alla differenza” purchè resti nei suoi confini, e si esprima preferibilmente nel privato.
Il “ghetto” non è un effetto collaterale imprevisto del multiculturalismo, ma un suo presupposto implicito, una delle condizioni del suo funzionamento.
C’è anche da sottolineare un’ipocrisia evidente nella cultura contemporanea: da un lato la retorica delle differenze (l’unità non è democratica), che soffia sul fuoco delle specificità incommensurabili come se avessero valore in sé (gli antropologi la chiamano “esagerazione di identità”). Diversità e differenza, peraltro, sono termini profondamente etnocentrici: sono sempre gli altri i differenti, rispetto a uno “standard” che siamo noi. Molto più neutro, e corretto, sarebbe parlare di varietà, pluralità. Dall’altro lato, questa politica delle differenze non è minimamente gestita, e rimane confinata sul piano identitario: tutte le questioni che derivano da questa enfasi sulla diversità sono lasciate a se stesse.